Le Camere a Fili costituiscono una particolare varietà di rivelatori a gas. In un generico rivelatore a gas una particella carica che attraversa il gas vi rilascia energia ionizzandone gli atomi o le molecole. Se un campo elettrico viene applicato nel volume di gas la carica libera (elettroni e ioni) prodotta dalla ionizzazione viene accelerata nel campo e raccolta dai fili o gli elettrodi che generano il campo. Il segnale rivelato sui fili o gli elettrodi di raccolta fornisce informazioni che consentono sia di ricostruire la traiettoria della particella che, eventualmente, di stabilirne il tipo. Con una o più camere a “molti fili”, come la presente, è dunque possibile rivelare il passaggio di una particella, cioè “tracciarla”, con metodi più o meno complessi e, se tutto il dispositivo lavora in presenza di campo magnetico, misurarne anche l’impulso (o quantità di moto) con grande accuratezza.
In particolare, in una “camera a deriva” si misura il tempo impiegato dagli elettroni di ionizzazione ad arrivare sul filo di raccolta rispetto ad un segnale di riferimento prodotto dal passaggio di una particella. Dalla misura di tale tempo per ogni filo “colpito” nella camera si risale alla distanza rispetto al filo a cui la particella è passata e, di conseguenza, alla sua traiettoria. I fili utilizzati per costruire tali dispositivi sono sottilissimi, con diametri circa 1/4 di quello di un capello, e le accuratezze raggiunte nella ricostruzione dei punti spaziali della traiettoria sono di alcune decine di millesimi di mm!

La camera a deriva dell’esperimento KLOE ai Laboratori Nazionali di Frascati dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), di circa 4 m di diametro e circa 3.3 m di lunghezza e con circa 52000 fili tesi nel volume sensibile è la più grande camera a deriva finora costruita.

È riempita da una miscela di gas prevalentemente costituita da elio, gas leggero ed estremamente difficile da contenere. Il suo scopo è quello di tracciare le particelle cariche provenienti dai decadimenti del mesone Φ, una particella prodotta nelle interazioni elettrone-positrone all’acceleratore DAFNE, e ricostruire i “vertici di decadimento”. L’esperimento KLOE è una collaborazione internazionale tra istituti di ricerca italiani, tedeschi, russi, americani e cinesi e, per la parte italiana, è finanziato dall’INFN. La sezione INFN di Lecce ha partecipato a tutte le fasi dell’esperimento: progettazione del rivelatore, presa dati e analisi.
L’obiettivo dell’esperimento KLOE è quello di studiare i decadimenti del mesone F, estraendo misure di parametri fondamentali per teorie quali “il Modello Standard delle particelle elementari” e “la teoria perturbativa chirale”, che descrivono la natura e le interazioni delle particelle elementari.

In particolare, una grande attenzione è stata rivolta dall’esperimento allo studio dei meccanismi secondo i quali i mesoni K, prodotti dal decadimento della f, decadendo, violano la “simmetria CP”, normalmente conservata in natura. La violazione di CP può, in parte, spiegare l’asimmetria fra materia e antimateria che si osserva nell’universo. Oltre che dalla camera a deriva il rivelatore KLOE è costituito da un calorimetro elettromagnetico per la rivelazione e la misura dell’energia di elettroni, positroni e fotoni e da un magnete superconduttore. Le varie componenti sono disposte in strati cilindrici coassiali attorno al punto d’interazione di elettroni e positroni nell’acceleratore.
Poiché il progetto della camera a deriva di KLOE, realizzato a Lecce, è stato estremamente innovativo sia per le dimensioni e la particolare geometria con cui i fili sono disposti nel rivelatore, che per la miscela di gas impiegata, un prototipo in scala reale della camera è stato progettato, costruito e testato a Lecce. In un secondo momento (1995) è stato trasportato al CERN di Ginevra per studiarne estensivamente la risposta sotto fasci di particelle. La realizzazione del prototipo, che per dimensioni e complessità è confrontabile solo a pochi sistemi traccianti oggi in uso in grandi esperimenti, ha costituito un vero e proprio banco di prova per i materiali e le tecnologie impiegate, per le metodologie di filatura adottate e, infine, per le strategie di “calibrazione” del rivelatore e “tracciamento” delle particelle che lo attraversano. A tutti gli effetti, il prototipo ha dato un enorme contribuito a decretare il successo della camera a deriva di KLOE, che dal 1999 ad oggi lavora per la ricostruzione delle tracce nell’esperimento garantendo altissima affidabilità di operazioni e il completo soddisfacimento delle specifiche di progetto.